Modone

10/07 MODONE

Modone conserva molto del suo carattere primitivo. I vecchi bevono caffè greco, che non ci sembra molto diverso da quello turco. L’impressione è che il paese vivacchi di un turismo che non è mai veramente decollato. Per strada, ai tavoli dei bar, soprattutto anziani. Si invidia un po’ la loro calma e apparente tranquillità levantina. Sembra che le cose qui non siano mai cambiate molto negli anni, la maggior parte delle case avrebbe bisogno di restauri, alcune sono veri e propri ruderi. I bar conservano il loro sapore senza essere folkloristici. Un solo negozio vende souvenirs e cartoline, e anche quelli sembrano fondi di magazzino, rimasti dove si trovano da un tempo in cui il turismo sembrava stesse per decollare (fine anni ’70 – inizio ’80 a quanto pare).

Sveglia all’alba per le riprese, il castello era già aperto ed è stato esaltante averlo tutto per noi con la prima luce del mattino. Ci si arrampica sui bastioni, il posto è magico, molto più affascinante dell’Acropoli sotto assedio dei turisti. Leoni di San Marco decorano i bastioni “Bembo” e “Loredan”: fanno sentire a casa. La baia è tranquilla e ben riparata, ci sono barche in rada. Il castello è magnifico, occupa tutto il promontorio: di origine bizantina, fu veneziano dal 1204 al 1500. Preso dai turchi dopo un assedio tremendo, ritornò sotto i veneziani nel 1686 a seguito della prima guerra di Morea sotto il comando di Morosini (sempre lui). Nel 1715 la fortezza venne ripresa definitivamente dagli ottomani. Più di un secolo dopo il ritorno ai greci.

Dentro il castello un campo di aglio selvatico in fiore. Sulle mura abbondanti piante di capperi, una coppia di anziani li raccoglie litigando continuamente, sembrano farlo da sempre, non capiamo una parola ma fanno ridere.

Poi di nuovo in paese a fotografare le strade, la vita quotidiana di queste persone. Entriamo in un bar ma il vecchino intento a scaldare un caffè in un alambicco di metallo non si accorge nemmeno della nostra presenza. Quando si gira Pido lo fotografa: non sembra gradire, uno però si offende e ci dà dei mafiosi, come se fare delle riprese fosse un atto criminale. Cerchiamo di spiegare di cosa tratta il nostro progetto, Pido scrive su un foglio il nostro indirizzo web, niente da fare. L’uomo è sempre più minaccioso. Fortunatamente inteviene il pope seduto a pochi passi, lo calma con due parole e fa capire che il signore non è cattivo ma solo un po bizzarro.

La gente per strada ci guarda come se fossimo alieni, mentre ci aggiriamo affamati e sudati con l’attrezzatura per la strada. Altro bar, sempre pieno di vecchietti locali ma dall’aria più moderna. Caffè greco bollente dopo il bicchiere d’acqua gelata che qui in Grecia viene portato di default.

Vorremmo stare qui, bere un altro caffè greco, parlare coi vecchietti ma non c’è tempo, alle 11 ci aspettano in comune a Pylos (l’antica Navarino veneziana) per l’intervista programmata col sindaco grazie al lavoro di relazioni intrecciate dalla Marco Polo System. Il paese è carino, la baia (che è stata teatro della celebre battaglia di Navarino) chiusa da un isola. Una bella piazza con i tavolini dei bar all’ombra dei platani, un bel porto e anche un marina, una spiaggia di ghiaia, il solito mare stupendo. Tutto quello che serve. Ci accolgono il gentilissimo vicesindaco Panaiotis e la giovane segretaria Aristea. Il sindaco è impegnato, ci spiegano, stamattina è scoppiato un incendio poco lontano. L’incontro è quindi veloce, l’intervista si svolge senza intoppi (si era preparato un discorso scritto) e anche se non capiamo nulla di quello che dice, sembrano tutte cose positive. A Modone verrà fondato a breve un centro culturale delle relazioni Venezia-Grecia, con l’obiettivo di incentivare il turismo culturale con un occhio di riguardo al diportismo velico.

Mangiamo in piazza a Pylos, all’ombra degli alberi: moussaka e polipo ai ferri, tutto molto buono. Il tempo vola e sono già le 15.30, abbiamo un’altra intervista da fare, questa volta a Marisa, una giovane archeologa che lavora ai restauri della chiesa bizantina all’interno della fortezza nuova. Ci racconta la storia del luogo, in greco, molto professionamente, ma a differenza del sindaco abbiamo tempo di conversare un po’. “Cosa rimane dello spirito veneziano?” “Niente!” – risponde lei senza pensarci troppo. Non è un vecchio professore, ma una ragazza intimidita dalla reflex. I nostri modi a dir poco informali la convincono rapidamente che non sarà divorata dalla telecamera, ci racconta tutta la storia dei castelli della zona, chiacchieriamo del più e del meno cercando di capire quali possano essere i legami ancora esistenti con la cultura veneziana, lei ci racconta che alle superiori in Grecia si studia il Latino e resta impressionata quando le diciamo che anche noi a scuola abbiamo studiato Greco antico… se sapesse che combriccola di ripetenti si trova di fronte! Ci consiglia fortemente di visitare anche il castello vecchio – Palaiokastro – poco distante. Ci muoviamo quindi verso Nord, verso le lagune di Gialova, ma l’orario ancora troppo caldo non consiglia di prendere la strada del castello. Ci fermiamo in una baia con spiaggia incantevole da cui si vede benissimo il castello in questione. Verso le 6 ci muoviamo finalmente alla volta del castello. Tiziano vuole arrivarci per le strade sterrate, nonostante le buche enormi che le costellano, fino a che non incontriamo un gregge di pecore che sbarra la strada. Viene avanti il pastore, un ragazzo coi capelli lunghi sotto il berretto da baseball e un cellulare customizzato con una lunga antenna di ferro: “Road no good” dice consigliandoci di prendere la strada principale. Meglio non disturbare le pecore, torniamo sui nostri passi. Poco dopo parcheggiamo la macchina e cavalletto in spalla ci incamminiamo verso il castello. Alcuni cartelli sulla strada avvertono che il castello è chiuso perchè pericolante. In realtà il castello è accessibile, solo che è lasciato in abbandono a se stesso, è allo stato brado e per questo ci piace ancora di più. Il sentiero che porta al castello è pieno di grossi ragni appesi alle loro reti ai lati del cammino. Avvicinandosi sembra il panorama di un vecchio film medioevale, il castello sembra incantato, da lontanto si sente la sua origine latina, con un po’ di fantasia puoi immaginare i cavalieri in armatura cavalcare verso di esso alzando la polvere del sentiero.

Aveva ragione Marisa, dal castello la vista è mozzafiato e ci godiamo l’inizio del tramonto che cade sulla spiaggia dove poco prima abbiamo fatto il bagno e sulle lagune circostanti. Ma è meglio fare presto, tra poco sarà buio e non abbiamo una luce per seguire il sentieri al ritorno. Inoltre domani abbiamo un appuntamento a Monemvasia, 300 e qualcosa km di strada greca, che vuole dire 5 e passa ore di macchina di notte. Si devono fare passi di montagna. Facciamo una tappa a Kalamata dove mangiamo una quantità industriale di souvlaki seduti sui tavolini su una aiuola spartitraffico. Ci sono solo clienti abituali, la televisione è accesa su un documentario della tv greca, ma non capiamo bene di cosa parla, forse è la storia di un fotografo degli anni ’60. Spunta un gattino magro e sporco da dietro l’aiuola, miagola a tutto spiano e non sembra avere molte possibilità di sopravvivenza così piccolo in mezzo tra due strade. Sicuramente è meno fortunato di tanti altri gatti che incontreremo durante il viaggio. I gatti greci sono generalmente più magri dei nostri, ma qui non si è persa la buona abitudine di teneli per strada, come succedeva anche a venezia prima che si decidesse di salvarli dalla strada sterilizzandoli e rinchiudendoli in prigioni apposite. Gli gettiamo alcuni pezzi di carne.

Dopo Kalamata inizia la parte dura del viaggio. Le strade sulle montagne d’Arcadia non sono consigliabili di notte. I greci evidentemente lo sanno e infatti incrociamo due o tre macchine durante tutto il tragitto. Tiziano è cotto, guida da due giorni e ha bisogno di un cambio a metà strada tra Kalamata e Sparta, la strada è un continuo di tornanti in salita e discesa, spesso senza linee di segnalazione per terra, e senza illuminazione. Si procede con gli abbaglianti accesi, marce basse e occhi aperti nonostante il sonno incominci a bussare. Stop a Sparta. Parcheggiamo vicino alla piazza principale, due passi e siamo in mezzo alla movida: baretti con musica dance sparatissima, tanti ragazzi ma anche famiglie sedute ai bar o nelle sale giochi, e bambini che giocano a pallone in mezzo alla piazza. Sembra una di quelle sagre estive dei paesini delle montagne venete. This is Sparta.

Seguiamo per Gytheio, poi le indicazioni per Monemvasia si fanno più frequenti. Ci arriviamo alle 3 meno un quarto di notte, con la sensazione di aver quasi compiuto una impresa ad arrivare fino a qui. Troviamo subito un bel alberghetto con vista sulla baia appena arrivati. Siamo stati fortunati, la coppia che lo gestisce è giovane e molto gentile. Si capisce che stavano dormendo, ma ci fanno accomodare comunque all’ultimo piano, in una stanza con terrazza da cui si vede nel buio la sagoma tozza dell’isola dell’antica Monemvasia.