Monemvasia

11/07 MONEMVASIA

Ormai il sole è alto e l’isola della fortezza in controluce. Abbiamo appuntamento con Babis Lyras, responsabile del settore turismo del comune, un ragazzo molto gentile che di lavoro alleva polli “bio” e per passione coordina il settore turismo della sua città. Ci spiega che Monemvasia vuol dire “unico accesso”, infatti per arrivare sulla grande isola rociosa che ospita la città antica e sulla sua cima il vero e proprio castello, c’è un unico ponte.

Monemvasia ha la tipica struttura tripartita della città-castello bizantina con una cittadella sulla punta più alta e due ingressi fortificati più in basso, che dividono la città nella parti alta e bassa.

Lo sviluppo del tessuto urbano ha seguito la crescita della città nei secoli, creando un intreccio di stradine labirintiche. Nella città vecchia si può girare solo a piedi. Alcuni operai lavorano al restauro di una casa portando pesanti carriole su e giù per le stradine. Un altro usa un mulo. Niente macchine nella città vecchia: Le strade di Monemvasia si inerpicano tra case bianche di mattoni e bassi sottoportici sempre più in pendenza man mano che ci si avvicina alle porte delle rovine della città alta. Sembra un miracolo che il posto si sia conservato in questa maniera. Babis ci spiega che è tutta opera degli abitanti e dei forestieri che hanno comprato casa ed investito nei restauri.

E’ un posto meraviglioso. Il golfo è diviso in due dal promontorio su cui si erge il castello e il borgo medievale, sia a nord che a sud è possibile attraccare o stare alla fonda. Se c’è rischio di Meltemi è meglio stare a sud.

Prima di iniziare la scalata verso il castello ci fermiamo per un caffè freddo in un bar nella piazzetta della chiesa di Cristo Elkomenos (fondata nel 6-7 secolo DC). 15 euro per tre caffè, neppure molto buoni, manco fossimo in piazza San Marco. Affacciata sulla stessa piazzetta, ma leggermente nascosta da alcune piante si trova quella che era la residenza del metropolita di Monemvasia e che sotto i turchi divenne un bagno, con un leoncino di San Marco un pò scalpellato sopra la porta di ingresso. La passeggiata verso la città alta dura circa venti minuti, e dopo diverse porte di ingresso si accede ad un altopiano costellato di rovine bizantine, veneziane e turchesche. Sopra tutte spicca la chiesa di Hagia Sofia o Panagia Hodetregia: fondata nel 12 secolo, convertita in moschea dai turchi, dedicata alla Madonna del Carmine durante la seconda dominazione veneziana (1690-1715), quindi di nuovo moschea quando la città passa di nuovo agli ottomani (1715-1821). Dopo la guerra di indipendenza greca è stata chiamata Hagia Sofia perchè considerata una copia fedele della grande chiesa di Santa Sofia di Costantinopoli. E in effetti ci assomiglia, in piccolo, parecchio. Oltre alla chiesa le mura della città alta contengono anche quello che rimane di altre tre chiese, diversi bagni turchi, un mausoleo ottomano e diverse cisterne.

Sta scendendo il sole e anche noi torniamo verso la città bassa per fare visita ad un signore di cui ci ha dato il numero Babis. Si chiama Byron, è un signore di mezza età inglese nato ad Alessandria d’Egitto che parla benissimo italiano (la madre era Bolognese), e da qualche anno ha aperto una enoteca tra i vicoli della città vecchia.

L’enoteca di Byron serve solo Malvasia, quello originale, prodotto in questa zona dopo anni di ricerche sui vitigni. Di solito si pensa al Malvasia come ad un vino bianco non particolarmente pregiato diffuso soprattutto in Croazia, di quelli che si fanno sentire sulla testa il giorno dopo una cena con bevuta abbondante. Il Malvasia in realtà era un vino molto apprezzato nell’antichità (diverse sono le calli “della Malvasia” a Venezia) ed i veneziani hanno contributo alla sua diffusione in tutto il mediterraneo, portando le viti da Monemvasia a Creta e in Dalmazia, nel sud Italia ed anche nelle isole del mediterraneo occidentale. Quando gli spieghiamo il nostro progetto di Sulle Ali del Leone e che siamo venuti in barca a vela da Venezia, si entusiasma (è velista anche lui) e ci dedica un’ ora buona del suo tempo, offrendoci diversi calici del suo Malvasia. Anche noi siamo entusiasti di questo incontro, finalmente facciamo luce sulla storia della Malvasia e la compagnia di Byron è veramente squisita, come il vino che ci offre: niente a che vedere con la vinaccia dolce croata. La malvasia prodotta a Monemvasia è un vino secco e leggero, “nobile”, il migliore che abbiamo mai assaggiato in Grecia. Ci facciamo anche consigliare un ritorante: la moglie ci dice di uscire dalla città vecchia (troppo turistica e costosa) ed andare oltre il ponte. Mangiamo polipo alla griglia e moussaka e torniamo presto all’albergo. Domani ci aspetta una altro bel viaggio sulle strade greche verso Nauplia. Lasciamo quel luogo fatato, i camini, le finestre tonde… tutte cose che hanno voluto conservare gelosamente e ricordano Venezia. Ci allontaniamo con la sensazione di avere avuto un vero colpo di fortuna.